Oggi più che mai tante realtà agricole si vedono accomunate dall’esigenza di ricercare sostegno nei cosiddetti fertilizzanti, con la speranza che questi possano miracolosamente risollevare da problematiche persistenti quali la scarsa produttività, aridità e degradazione dei terreni.
Ma quando questi composti possono veramente dirsi nostri amici?
Da donatori di salvezza quali dovrebbero essere possono trasformarsi proprio nella goccia che fa traboccare il vaso, un traboccare che nel nostro contesto rappresenta un peggioramento delle condizioni del suolo, quando non addirittura una degenerazione irreversibile.
Finisce così che la via d’uscita alla quale dovevano avvicinarci va allontanandosi ancora di più.
Accade ciò quando su un terreno in stato di salute critico, non solo non vengono eseguite le cure necessarie, ma vengono avviati trattamenti falsamente risolutivi che, a medio termine, producono effetti contrari, arrecando ulteriore danno all’ecosistema naturale, perché ennesimo contributo di elementi chimici tossici che accrescono l’inquinamento.
Minimizzare la spesa a discapito della qualità può risultare sconveniente, è
il fertilizzante che andiamo ad utilizzare che fa la differenza, ed è
importante porvi grande attenzione.
Essenziale è la sua composizione, che sia naturale e priva di sostanze chimiche
e metalli pesanti, i quali inevitabilmente verrebbero rilasciati nel terreno sconfinando
nelle falde acquifere e intossicando le risorse ambientali di cui viviamo.
Un fertilizzante naturale e organico può ribaltare le sorti di un terreno impoverito, giungendo a sanarne e rigenerarne del tutto la struttura, grazie all’apporto dei micro e macronutrienti fondamentali per la sua integrità, fertilità e longevità.
Fra i fertilizzanti organici migliori, troviamo l’humus di lombrico biologico, un concime che si ottiene in via del tutto naturale e nel rispetto della terra e dei suoi abitanti.